Tutto comincia due anni fa, un caldissimo sabato di fine
luglio, mentre mi trovo (non per caso) a Valdagno a guardare l’arrivo dei miei
idoli, i campioni del mondo di corsa in montagna, tifando per loro quasi con le
lacrime agli occhi. Un susseguirsi di arrivi iniziato in tarda mattinata, ad
animare le vie del centro storico con lo speaker che osanna questi miti.
Scattai con Kilian ed Emelie alcune foto (dopo aver fallito
il tentato rapimento di quest’ultima), diventate poi un poster, e tutto finisce
lì. Anche se qualcosa continuava a frullare nella testa. A marzo di quest’anno
il giorno dell’Ultrabericus aprirono le iscrizioni della Trans d’Havet. Bene,
via il dente via il dolore, ritirai il pettorale e mi spostai al tavolo alle mi
spalle. Ancora ricordo la mano che mi tremava mentre firmavo il modulo di iscrizione.
Un pazzo!!
Ma chi se ne frega, ho quattro mesi per allenarmi. Quattro
mesi però passano in fretta e cercando di programmare bene le uscite e le fasi
di riposo qualcosa son riuscito a combinare. Quasi un’intera settimana di
riposo assoluto per lasciar recuperare le gambe ed eccoci alla data fatidica.
E qui inizia il racconto vero e proprio (armatevi di
pazienza).
Venerdì pomeriggio passa a prendermi Angelo ,un amico che
sto portando sulla brutta strada… Si parte in direzione Valdagno per il ritiro
pettorali!! Passano i chilometri e commentiamo assieme il percorso che ci
aspetta, dandoci coraggio per i tratti più difficili. Ma l’incognita più grande
rimane una, il METEO.
Il bollettino Arpav è disastroso e da quel che dicono le previsioni
tutto il caldo delle scorse settimane lascerà proprio nella notte spazio a
correnti freddi che daranno origine a fenomeni violenti. Tradotto: venerdì sera
temporali sicuri. Sabato alternanza pioggia temporali.
Cosa volere di più??
Ritiriamo i pettorali, agitazione a 1000. Mangiamo qualcosa
tutti assieme, ci vestiamo ed in silenzio andiamo ad ascoltare il briefing pre
gara. Solite raccomandazioni però condite ancora dalla massima attenzione da
tenere per via dei fenomeni atmosferici previsti.
Dopo mezz’ora siamo in corriera verso Piovene Rocchette. La
tensione (mia) è talmente alta che perdo la voglia di parlare con gli amici.
Arrivati a destinazione con sorpresa vedo che la partenza è in centro al pese
dove si tiene in questi giorni la festa paesana…e via con il liscio. Riesco a
rilassarmi e ritrovare la voglia di scherzare. E quasi quasi mi farei pure un
ballo!! Meglio stare attenti altrimenti nell’ora che ci separa dallo scoccare
della mezzanotte va a finire che ci ritroviamo a mangiare panini al salame
tracannando fiumi di birra.
Ci voleva un po’ di relax, mescolandoci assieme agli
abitanti del paese, che ci vedono come se fossimo degli alieni. Rimarrei qui
delle ore. Ed invece no, pronti, si entra in gabbia. Passa il chip, vedo il mio
nome sul display del controllo. Cazzo, sono davvero io. Alla Trans d’Havet.
Tutto è pronto, inizia il conto alla rovescia e si parte!! A
mezzanotte in punto 280 atleti (o pazzi che dir si voglia) scattano per le vie
del paese. Comincia la salita sul Monte Summano. Tutto fila liscio fin oltre
metà ascesa, quando il rumore dei tuoni inizia a farsi minaccioso. Se prima
sembravano lontani si stanno spostando pian piano verso di noi. A pochi
centinaia di metri dalla cima inizia a gocciolare. Nessun problema, fa caldo,
andiamo avanti senza perdere tempo per indossare le giacche.
Finalmente vedo la croce della cima del Summano, che conosco
quasi a memoria dalle tante foto postate in facebook dagli amici della zona che
si allenano regolarmente qui.
Il rombo dei tuoni si fa sempre più forte, scendiamo
velocemente lungo le creste, magicamente mi scordo delle parole dette da chi mi
diceva di fare attenzione a dove mettere i piedi, perché al buio gli strapiombi
non si vedono… Le gocce diventano pioggia passando velocemente a diluvio. Stop.
Sosta veloce per indossare la giacca
impermeabile. I boati diventano insopportabili. Ad una cinquantina di metri da
noi cade una lingua di fuoco, seguita istantaneamente da una suono tipo bomba.
Partiamo a razzo, qui l’unico modo per uscire è andare avanti, indietro è
impossibile e lateralmente non ci sono vie di fuga. Ho veramente paura. Scaccio
in fretta la terribile sensazione che mi trasmette la mente, “qui è finita”, e
avanti a tutta tra le saette che cadono a raffica vicino a noi. Il sentiero è
reso scivoloso dal fango, a passi lunghi e decisi corro come poche volte in
discesa. Dimentico tutto finché vedo le luci e le tende del primo ristoro a
Colletto di Velo. Nel frattempo la situazione metrologica si è attenuata e tiro
un sospiro di sollievo!!
Si riparte, la salita verso il monte Novegno sale a pendenza
costante, lunghi rettinei alternati da tornanti, un sentiero che ci porta
rapidamente in quota, sempre con illuminando il percorso con le torce frontali.
Il bello dura poco, a circa metà salita un altro temporale si abbatte su di
noi. Altri attimi di paura. Fortunatamente le saette sono lontane ma cerco di
accelerare più possibile per arrivare quanto più possibile vicino ad un
potenziale riparo, che possa essere qualsiasi cosa, una grotta, una stalla, va
ben tutto, ma basta che in caso di emergenza mi ci possa fiondare dentro. Il
buio rende difficoltosa la ricerca, se poi ci si mette pure un acquazzone
monsonico i pensieri diventano altri. Dove mettere i piedi! Sembra quasi di
risalire camminando nel greto di un ruscello, con l’acqua che a volte copre le
scarpe. Presto la massima attenzione a dove metto i piedi, il sentiero è largo,
però a tratti molto esposto, ed i fulmini che illuminano a giorno la zona ci
lasciano di tanto in tanto come un promemoria con l’altezza delle pareti, con
cadenza irregolare è come se si accendesse una lampada che mette in evidenza la
conformazione della zona, per pochi istanti si vedono il sentiero, gli
alberi…ed i tanto temuti (da me) costoni di roccia.
Arrivati al ristoro sulla cima il meteo, assieme a noi, si
prende una pausa. Mi sembra addirittura di vedere le stelle. Avverto una
spiacevole sensazione di freddo, cambio maglia, magio qualcosa e riparto prima
di congelarmi.
Ho ancora impressa l’immagine di un numeroso gruppo di mucche
al pascolo, che vengono disturbate dal nostro passaggio, con le luci frontali
in testa illuminiamo la zona impedendo ai bovini di dormire. E’ stata la prima
volta che delle mucche mi hanno spaventato, stavo corricchiando a ritmo blando,
alzo la testa e vedo decine e decine di occhi che mi guardano. Una scena quasi
da cartoni animati dove su sfondo nero si vedono brillare gli occhi di chissà
quale specie animale pronta ad azzannarti. Un velo di terrore mi rimane fin che
torno alla realtà Del resto sono anche le 3:30 minuto più minuto, la gente
normale a quest’ora è a letto da parecchio (beati loro).
Scendiamo su un percorso abbastanza morbido facendo
attenzione ai sassi sempre presenti. E dopo una decina di chilometri di
sottobosco, ed aver superato il monte Alba, finalmente raggiungiamo passo
Xomo.L’alba ha iniziato a farci compagnia da poco e guardando il cielo il tempo
sembra essere dalla nostra parte. Meglio approfittarne, perché le previsioni
per sabato sono un disastro.
Siamo al trentesimo chilometro, sono le 5:50. Da tempo sto
meditando al ritiro, proseguire con le condizioni meteo con cui abbiamo
affrontato la notte sarebbe stata una sofferenza, e questo era il punto in cui
sarei dovuto salire sulla navetta, salutare tutti e via. Però la felpa finisher
la voglio!! Che poi come sempre sarà in taglia L ovvero larga il doppio di quel
che serve (ma cosa cavolo chiedono a fare la taglia nei moduli di iscrizione??)
, vabbè dai, la terrò come un cimelio sacro ed ogni volta che la guarderò mi
tornerà in mente questa avventura!!
Grazie al miglioramento del tempo ho superato strada facendo
la crisi mistica con i pensieri negativi, scendendo di quota ho ripreso
temperatura ed ora sto bene. Mangio qualcosa, aspetto l’amico Angelo che mi
segue a pochi minuti di distanza. E via, si riparte. L’avventura continua.
Ci aspetta la strada delle 52 gallerie, un capolavoro di
ingegneria realizzato durante la prima guerra mondiale per approvvigionare il
fronte sul monte Pasubio. Di circa 6 km, un terzo del percorso si percorre in
galleria, alternando tratti esposti con pareti alte centinaia di metri che
danno nel vuoto. Fortunatamente la mulattiera è sufficientemente larga. Spunta
un timido sole, i panorami che si ammirano da quassù sono strepitosi. Un altro
atleta mi illustra, indicando l’orizzonte con la mano, il tratto di gara che
dobbiamo ancora percorrere. Penso: “siamo pazzi”. Meglio continuare e fermarsi
poco. Dopo un paio di ore siamo al rifugio Papa, una sosta per una barretta e
via diretti per la strada degli Eroi da cui si raggiunge la metà del percorso,
il passo Pian delle Fugazze.
Dai ormai il pericolo dei cancelli orari dovrebbe essere
finito. Ho cercato di gestire al meglio le energie e dopo 40 km con 3000 m D+
fatti sono ancora relativamente fresco. E quindi una bella pausa ci sta. Il
ristoro è ben fornito e mangio molto volentieri una buona minestrina. Ha la
duplice funzione di riportarmi in temperatura e di sistemare lo stomaco, che
fino ad ora sembra funziona al meglio…ma è sempre meglio prevenire… Tra una cucchiata
e l’altra con gli amici vediamo transitare la gara “corta” di circa 42 km che
partiva proprio il sabato mattina alle 9 poco lontano dal nostro ristoro.
Finito di banchettare come si deve riparto da solo e cerco di andare a
raggiungere qualche atleta.
Il paesaggio cambia nuovamente, una bella salita nel bosco e
si corre poi tra ampi prati verso Campo Grosso. Rapidamente il tempo cambia di
nuovo, diluvia!! Rapido stop, giacca antipioggia e avanti tutta. Per fortuna
era un falso allarme ed in 10 minuti le nuvole si aprono e lasciano passare
qualche raggio di sole.
Al ristoro cercao una funivia o qualcosa di simile per
superare la parete che porta sul monte Carega J
Ricerca inutile purtroppo e con pazienza ripartioo con le mie gambe. Qui
incontro l’amica Silvia che corre la gara corta e procediamo assieme. Saliamo
il canalone che ci porta alla base della Bocca dei Fondi. La pendenza aumenta
sempre più. Mi ritornano in mente alcuni passaggi al DXT in cui ci dovevamo
quasi arrampicare sulle rocce per salire. Nessun problema e si va su a zig zag
tra ghiaioni e piccoli arbusti.
Guardo in alto, molto male! Vedo un passaggio con altri
atleti davanti a me che camminano sopra un tratto molto esposto. Sudori freddi.
Che faccio? Lascio? Ora ci rido su, ma lì per li se Silvia non mi avesse fatto
da guida sarei ancora incastrato. Mando avanti lei, mi sistemo per bene il
berretto in testa in modo che mi impedisca la visuale sopra e soprattutto di
lato!! Guardo solo dove mette i piedi lei e seguo con estrema fiducia i suoi
passi. Ad ogni passaggio tecnico mi aspetta, guarda se procedo bene. Fin che
finalmente scolliniamo alla forcella. Tiro un gran sospiro di sollievo!!
Fatta…e in fin dei conti sotto sotto mi son pure divertito J
Saliamo di altri 200 metri circa, la stanchezza un po’ si fa
sentire, improvvisamente è salita la nebbia, il vento soffia forte e fa freddo.
Di nuovo giacca e su. Arriviamo sul punto più alto della corsa, al rifugio
Fraccaroli (2238 metri). Probabilmente il panorama sarà meraviglioso da qui,
torneremo un’altra volta, meglio andare giù ed evitare di congelarci, quanti
gradi ci saranno? 4 o 5 a sensazione.
Si scende a tutta, il ristoro del rifugio Scalorbi ci
aspetta, ed ho fame, tanta!! Sull’ultimo prato prima del rifugio una curiosa
immagine, un’atleta sta tranquillamente dormendo sull’erba. La visione un po’
mi tenta, ma la fame vince su tutto! Mangiamo beviamo, ci ristoriamo e avanti.
Ancora salita, non finisce mai. E qui dico a Silvia: “guarda
che bel camoscio nel ghiaione”. Si dissolve praticamente subito. Allucinazione
n°1 vieni a me. Però era carino, peccato la mia compagna non l’abbia visto.
Nella successiva discesa verso la catena delle Tre Croci i
mughetti la fanno da padrone, ed il profumo di resina mi trasporta con la mente
verso il mare, quasi come se fossero pini marittimi. Svegliaaaaa che mancano
ancora 25 km. Procediamo al passo, corriamo, camminiamo, ammiriamo il panorama
che è sempre maestoso tra la pianura e le montagne. Anche qui mi sento
infinitesimamente piccolo in confronto a quello che è la natura, a questi
giganti di roccia, alla forza che sprigiona come nella notte appena trascorsa.
Anche il telefono ricomincia a funzionare, sento i messaggi
che arrivano, e che cavolo, si stava così bene quassù fuori dal mondo. Avanti
ancora perdendo sempre più quota, ecco un bel gregge di pecore che riposano sul
prato, appena tosate, sdraiate a prendere il sole. Le sto invidiando molto…
Sempre giù. Ed ecco che ricominciano le corde. Silviaaaaaa, aiutooooo!!
Berretto schiacciato in testa e avanti un passo dietro l’altro seguendo la mia
guida. Un bel salto nel vuoto alla mia destra che con questo sole è così ben
illuminato da farsi ammirare in tutta la sua altezza. Passerella sospesa più
cavo, yeeeeee. Se questa volta non mi passano le vertigini son davvero un
pollo! Qualche imprecazione e raggiungiamo il rifugio Bertagnoli, due ringraziamenti
davanti alla chiesetta nei pressi del ristoro e finalmente ci rilassiamo
qualche minuto.
Fa caldo, ora il sole scotta (ringrazio sempre le previsioni
che hanno sbagliato alla grande), sono da poco passate le 15:30. Merenda? Ma si
dai, facciamo un buon brodino caldo con la pastina. Una specialità. Ci sediamo
sulla panchina e sembriamo un gruppetto di anziani fuori dell’ospizio nelle ore
calde della giornata. Scattiamo alcune foto con gli amici della croce rossa
(ammiro quei ragazzi che regalano ore del loro tempo a guardare noi che ci
divertiamo), ricarichiamo le scorte di acqua e via. Meglio accelerare il passo
che la strada è ancora lunga. Al successivo punto di controllo di Cima Marana
oltretutto gli alpini che stazionano al punto di controllo ci incitano con un
“dai che mancano 8 km e siete arrivati”. Ma come? Ho sbagliato i conti nella
tabella? Figata, bene. Sono così tranquillo che le ultime creste le faccio pure
volentieri camminando come un equilibrista guardando il vuoto sotto i piedi.
Comincia l’ultima infinita discesa che ci conduce verso la
tanto temuta civiltà, manca solamente un ristoro, e prima di raggiungerlo due
volontari sul percorso ci incitano con un “dai che mancano 8 km e siete
arrivati”. Mah! Sbaglio o questa l’ho già sentita? Ok grazie, mezza
imprecazione e avanti corricchiando nel bosco, dove vedo alcune radici muoversi
trasformandosi in serpenti, olè!
Il rumore dei campanacci precede l’arrivo all’ultima malga.
Ultime ricariche alle borracce. Mangio qualche pomodorino sempre presente nei
vari tavoli (ci manca giusto un formaggio da accostarci) e ci informiamo sulla
distanza che ci rimane da coprire, in risposta “mancano 8 km e siete arrivati”.
E che cavolo!! Ma hanno imparato tutti la stessa frase???
Giùùùùù veloci, poco dopo intersechiamo le prime strade
sterrate, poi asfalto, di nuovo qualche sentiero. Passiamo per i primi centri
abitati. Fontana! Tappa per rinfrescarsi. Favolosa l’acqua fresca. La solita
malinconia da fine gara mi attanaglia, però me la tengo, cerco di pensare ai bei
momenti trascorsi durante la giornata, che è stata talmente lunga che mi sembra
di essere fuori da una settimana. Le persone che incontriamo ci salutano, ci
fanno i complimenti, scambiamo due parole volentieri con tutti.
Il nostro amico che in cima al Carega stava dormendo ci
sorpassa a bomba! Alla facciazza del pisolino ristoratore, questa la dobbiamo
tenere come carta vincente per i prossimi ultra!! Basta avanzare come gli
zombi. Basta orologi con gps e bla bla bla. Una bella sveglia legata al polso,
camel back pieno di acqua a far da cuscino e giù duri a dormire!!
Ricomincia l’asfalto, eh si, e questa volta continua.
Finisce anche la discesa. I volontari agli incroci ci fermano le auto. Mancano
pochi centinaia di metri. Ora corriamo con una scioltezza che non sentiamo più
dolori alle ginocchia, stanchezza,… ma solo una grande gioia per aver terminato
questa favolosa avventura. Ecco il centro del paese, curva a sinistra. Eccomi
in quel viale che vedevo due anni fa, da dietro le transenne, mentre con la
macchina fotografica in mano applaudivo i miei idoli.
Ora mi sento quasi come uno di loro. 19 ore e 40 minuti (praticamente
il doppio di Kilian Jornet), quasi un giorno intero immerso tra le montagne con
condizioni meteo a momenti veramente proibitive, in balia degli agenti
atmosferici, con momenti di sconforto in cui volevo gettare la spugna, se non
per poi ritirarmi su ed andare avanti avanti avanti. Una giornata ricca di
amicizia, di natura, di tranquillità, di fatica, tutto quello che mi piace.
Mai avrei pensato di tagliare questo traguardo, il “viaggio”
Trans d’Havet me lo ricorderò per molto tempo!!
NOTA: aggiungo una piccola precisazione, come giustamente mi hanno fatto notare alcuni amici. Quando parlo di passaggi molto esposti, la percezione è soggettiva!! Sebbene frequenti e pratichi la corsa in montagna da anni, haimé appena vedo che sotto i piedi il terreno si allontana sempre più, entro in modalità "allarme". E sicuramente dove inizio ad essere dubbioso passeggiano tranquillamente tutti senza nessun problema!! La corsa è fattibile per tutti (con un buon allenamento)!!
NOTA: aggiungo una piccola precisazione, come giustamente mi hanno fatto notare alcuni amici. Quando parlo di passaggi molto esposti, la percezione è soggettiva!! Sebbene frequenti e pratichi la corsa in montagna da anni, haimé appena vedo che sotto i piedi il terreno si allontana sempre più, entro in modalità "allarme". E sicuramente dove inizio ad essere dubbioso passeggiano tranquillamente tutti senza nessun problema!! La corsa è fattibile per tutti (con un buon allenamento)!!
Super i miei amici Placido ed Angelo, che sto portando su
una brutta strada J
Complimenti bel racconto mi sembrava di far la corsa anch'io. Hai messo il doppio di tempo di Killian ma..... Lui non ha fatto le belle foto che hai fatto.
RispondiEliminaE' il mio modo di "correre", gustarsi i luoghi, chiacchierare con gli amici e divertirsi!! Che poi magari è una scusa per giustificare il doppio del tempo sul cronometro ah ah ah :)
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